Chi dovrebbe fare la quarta dose di vaccino contro Covid-19? «Credo sia opportuna, oltre che per i soggetti fragili e vulnerabili di qualsiasi età, per chiunque abbia più di 80 anni. E sarebbe auspicabile che in Europa si operasse una scelta unica e condivisa in merito, evitando che ogni Paese stabilisca età diverse» risponde il professor Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’Istituto Humanitas di Milano e presidente della Fondazione Humanitas per la ricerca. «La quarta dose per altri vaccini non è affatto una novità: per esempio quella contro l’epatite B la si fa di routine a soggetti immunocompromessi, come quelli in insufficienza renale grave».
Ma quali sono i dati a disposizione per la quarta dose di vaccino contro il Covid?
«Gli studi su cui possiamo basarci finora sono essenzialmente due, entrambi condotti in Israele . Il primo, su un numero piccolo di persone, indica che la risposta immunitaria viene restaurata al livello in cui era nelle prime settimane dopo la terza dose. Il secondo, su oltre un milione di persone, suggerisce che la quarta dose in chi ha più di 60 anni è sicura e riduce rischio di ospedalizzazione e malattia grave. C’è la preoccupazione che gli effetti della quarta dose possano essere di breve durata, tuttavia va considerata l’efficienza del sistema immunitario nel difenderci dalle infezioni con il passare degli anni. Per fare un paragone: c’è a chi a 75 o a 80 anni percorre ancora sentieri impegnativi in montagna senza grossi problemi, e chi, alla stessa età, deve camminare con il bastone in casa. Allo stesso modo il nostro “apparato difensivo” può essere più o meno in forma, quindi penso che la somministrazione sopra gli 80 anni in generale sia ragionevole perché diversi ultraottantenni possono essere assimilabili agli immunocompromessi che seguiamo e studiamo nel consorzio Vax4frail, mentre non la proporrei per persone complessivamente sane già a 60 anni». Non sarebbe meglio aspettare l’autunno, sperando che arrivino vaccini aggiornati contro le nuove varianti?
«Direi di no per i soggetti fragili, sebbene sia ottimista sull’arrivo di nuovi preparati. Piuttosto in autunno sarà opportuno ribadire che, oltre al vaccino per Covid andrà fatto anche quello antinfluenzale. Ci sono dati molto convincenti del Regno Unito che dimostrano come la coesistenza delle due infezioni aumenti moltissimo il rischio di malattia grave o gravissima. In ogni caso il problema più urgente, ancora più della quarta dose, è quello relativo ai milioni di persone che in Italia ancora non si sono sottoposti alla terza. E questo preoccupa anche in chiave Long-Covid».
Che cosa preoccupa di più relativamente al Long Covid?
«Il possibile impatto sulla nostra società. Tanto che a breve probabilmente come Accademia dei Lincei pubblicheremo un documento sull’argomento. Stime britanniche parlano del 10% delle persone che hanno sintomi a più di un anno di distanza dalla malattia. C’è poi lo studio Epilogue, una grande indagine su persone non ospedalizzate nella Germania del Sud fra i 18 e i 65 anni che hanno avuto il Covid, in cui è stata riscontrata in particolare la persistenza di stanchezza, problemi neurocognitivi e cardiorespiratori, senza contare gli altri, a partire dai dolori. Colpisce fra l’altro che queste persone, anche giovani o di mezza età, dopo 6- 12 mesi non abbiano recuperato pienamente la capacità lavorativa, senza che ci sia un’associazione fra età e sintomi. È qualcosa che allarma e dovrebbe spingere i giovani a vaccinarsi».
(Corriere Salute)