Nelle scorse settimane, a cavallo tra le feste di Natale e l’inizio del nuovo anno, si sono registrati aumenti preoccupanti dei casi influenzali, con l’arrivo dell’annunciato picco di influenza stagionale. In Italia in tanti hanno trascorso le festività a letto, affaticati dai sintomi influenzali o da Covid 19.
Secondo il sistema di sorveglianza RespiVirNet dell’Istituto Superiore di Sanità, l’Italia ha registrato nella cinquantunesima settimana del 2023 il più alto numero di casi mai segnalato: 18,3 casi ogni 1.000 abitanti, pari a 1,1 milioni di contagi settimanali. Questi dati indicano un’epidemia influenzale particolarmente intensa, che ha messo a dura prova il sistema sanitario nazionale.
L’influenza non è l’unico protagonista in questo contesto epidemiologico. La pandemia di Covid-19 continua a rappresentare una minaccia preoccupante, con 40.990 nuovi casi positivi registrati nelle scorse settimane. Tuttavia, va notato che questi numeri potrebbero essere sottostimati, considerando il declino dei tamponi effettuati (-30% rispetto a 7 giorni prima).
Un elemento di preoccupazione aggiuntivo emerge da uno studio condotto dalla Queen Mary University di Londra, pubblicato sulla rivista EClinicalMedicine. Questo studio svela la possibilità di sintomi a lungo termine, denominate “long-cold”, anche dopo infezioni respiratorie acute che risultano negative al test Covid-19.
Sintomi persistenti: long-cold e long-Covid
Secondo questo studio, i sintomi a lungo termine possono manifestarsi dopo infezioni respiratorie acute non Covid, come raffreddori, influenza o polmonite. La sindrome, denominata “long-cold” in inglese e semplificata in “long-raffreddore”, evidenzia la persistenza di sintomi anche a distanza di oltre 4 settimane dall’infezione iniziale.
Tra i sintomi più comuni di questa condizione vi sono tosse, mal di stomaco e diarrea. Ma anche tosse eccessiva, disturbi del sonno, di memoria, difficoltà di concentrazione, dolore muscolare o articolare, disturbi di gusto o olfatto, dolore addominale, cambiamenti nella voce, perdita di capelli, battito cardiaco accelerato insolito, svenimenti o vertigini, sudorazione insolita, mancanza di respiro, ansia e affaticamento. Questi dati suggeriscono la possibilità di impatti a lungo termine sulla salute, attualmente non completamente riconosciuti, associati a infezioni respiratorie acute non Covid. È importante sottolineare che la tosse prolungata è emersa come un sintomo significativo, simile a quelli riportati nel long Covid.
La ricerca ha coinvolto 10.171 adulti, indagando 16 sintomi diversi segnalati nel long Covid. Il tempo medio trascorso dall’infezione differiva tra i due gruppi: i guariti dal Covid segnalavano i loro sintomi in media 44 settimane dopo l’infezione, mentre le persone con infezioni non Covid segnalavano i loro sintomi in media 11 settimane dopo l’infezione. Attualmente, non ci sono prove che questi “lunghi raffreddori” abbiano gravità e durata simili al long Covid.
Mascherine nei luoghi affollati: alleate da non sottovalutare
In questo contesto, l’approccio alla salute respiratoria richiede una cautela rinnovata. Oltre alla consueta raccomandazione di vaccinazione, è cruciale adottare stili di vita sani per rinforzare il sistema immunitario. L’uso di mascherine nei luoghi affollati, il lavaggio regolare delle mani e il mantenimento di distanziamento sociale rimangono pratiche ancora valide, soprattutto per i soggetti più fragili, malati e anziani.
Il quadro complessivo, tra influenza stagionale e possibili sintomi persistenti, richiede un approccio bilanciato e una comprensione più approfondita delle dinamiche di queste condizioni. Per questo gli esperti invitano sempre alla prudenza che rimane la migliore alleata nella gestione di queste sfide sanitarie.